Sulla retorica:
citazioni riepilogative scelte.
n.1
Prendi l’eloquenza e torcile il collo. Ma l’eloquenza è retorica. Ogni scrittura è retorica. La retorica è come una categoria kantiana, in cui lo scrittore nasce ineluttabilmente imprigionato.
Ed è proprio sulla base di questa immanenza che si potrebbe spiegare la straordinaria longevità della retorica classica. Gemma delle scienze umane nell’antichità, la retorica è stata un vero e proprio organismo che ha trovato nelle sue stesse premesse le ragioni di una crescita vivace, dinamica e strutturata. Arte di parlare bene, essa si è poi, per così dire, biologicamente trasformata in scienza del ben parlare. Essendo una raccolta di consigli, essa aveva dapprima un carattere eminentemente pratico: in seguito essa ha acquistato anche carattere “poietico”, in quanto arte del “fare”, e teorico, in quanto, per far luce sull’azione, essa deve analizzare ciò che è stato detto. Allo stesso tempo dunque, e organicamente, essa diviene arte di comporre e di scrivere, studio critico dell’arte del linguaggio e della letteratura, grammatica dell’espressione e trattato di composizione letteraria. Insomma, è il primo abbozzo d’una linguistica dell’espressività e d’una stilistica dell’arte dello scrivere. (A. Herry, Metonimia e metafora, Giulio Einaudi editore, 1975: 3)
n.2
Al centro della retorica classica vi è la teoria delle figure, cioè delle peculiari forme espressive usate soprattutto dai poeti e considerate, quindi, in rapporto di deviazione o di scarto dal linguaggio normale. Ma il paradosso della retorica, per dirla con Genette (Figure. Retorica e strutturalismo, 1969: 190 sgg), consiste nel fatto che le figure abbondano anche nella lingua usuale, ossia la deviazione è del tutto comune. […] Si può anche osservare con Todorov (in Ducrot-Todorov, Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, 1972: 300) che non ogni figura è uno scarto. […] Sembra più vantaggioso, in una prospettiva neoretorica, individuare la figura “come distanza tra segno e senso, come spazio interno al linguaggio” (Genette, ibid.: 191). Perché vela sia avvertito come termine figurato è necessaria la consapevolezza del suo rapporto in absentia con nave: dalla correlazione fra i due segni nasce la sineddoche, in quanto vela sostituisce nave come parte di un tutto. La figura è un processo di connotazione e come tale implica la coscienza dell’ambiguità del linguaggio e in particolare del discorso letterario: vela è polisemico, perché si rivolge letteralmente a se stesso (denotazione) e figuratamente alla nave tramite una motivazione (qui la parte per il tutto) che è l’anima della figura. La retorica è un codice istituzionale della letteratura che ha il compito non solo di inventariare le figure ma di attribuire loro uno specifico valore di connotazione. (A. Marchese, Dizionario di retorica e stilistica, Arnoldo Mondadori Editore, 1978: 115)
n.3
La retorica appare fin troppo facilmente come lo strumento dell’io, donde la comune associazione, nell’uso corrente del termine, con la persuasione, l’eloquenza, la manipolazione dell’io e degli altri. Di qui anche il senso ingenuamente peggiorativo in cui il termine è comunemente usato, in opposizione a un uso letterale del linguaggio, che non consentirebbe al soggetto di dissimulare i propri desideri. Quest’atteggiamento non è affatto confinato all’uso popolare della “retorica” ma costituisce infatti un topos filosofico ricorrente, un filosofema che potrebbe essere costitutivo dello stesso linguaggio filosofico […]. In tutti questi casi la retorica funziona come una chiave per la scoperta dell’io, e ciò con una tale facilità che ci si può cominciare a domandare se sia la serratura a determinare la forma della chiave, o non piuttosto il contrario, che una serratura (e la camera o cassa segreta che vi è dietro) non abbia dovuto essere inventata per conferire una funzione alla chiave. (Paul de Man, Allegorie della lettura, Biblioteca Einaudi, 1997: 187)
n.4
L’interesse del crescente numero di metaforologi per questa “figura del pensiero e del linguaggio” è pienamente giustificato dall’apprezzamento enunciato già circa venticinque secoli fa da Aristotele, per il quale “grandissima fra tutte le cose è la metafora”, e dalla fine penetrazione di Vico, che vi vedeva una “picciola favoletta”. Invero la magia della metafora è nella sua capacità compositiva del “grandissimo” e del “picciol”: capire il macro del “pensare” attraverso il micro del “dire” è un’impresa che richiede la dignità del “creare”. Non proprio come Dio, che s’inventa il tutto dal nulla, bensì alla maniera umana, che trasforma il “poco” che ognuno è nel “grande” che tutti sono. (Giuseppe Mininni, Le metafore con cui ci pensiamo, in La metafora tra letteratura e scienza, Atti del convegno di studi, 2006: 144, Università degli Studi di Bari)
n.5
Il fascino della metafora si rinnova costantemente nel mistero di una mente capace di trarre dall’espressione il modello di volta in volta adeguato all’esperienza del mondo. Pertanto, il dire metaforico avvalora a pieno la seminale tesi di Bahtin [in tr. it. M.M. Bahtin, Linguaggio e scrittura, Roma, Meltemi, 2003, p. 88] secondo cui “non è l’esperienza che organizza l’espressione, ma, al contrario, è l’espressione che organizza l’esperienza, le dà una forma e ne definisce l’orientamento”. Poiché la metafora “è il fondamento costitutivo stesso del linguaggio”, quando le persone hanno a che fare con un’espressione metaforica, per quanto sconcertante essa possa apparire a prima vista, cercano di prefigurare un contesto di situazione in cui essa consenta loro di accedere ai territori del senso. Grazie alla metafora la specie umana getta la mente “oltre” l’ostacolo, sfidando l’ignoto di ciò che non si lascia dire e invitandolo ad accomodarsi in qualche forma di linguaggio a noi più familiare (Giuseppe Mininni, Le metafore con cui ci pensiamo, in La metafora tra letteratura e scienza, Atti del convegno di studi, 2006: 149, Università degli Studi di Bari)
Nadia Gambis è nata e vive a Livorno. Ha frequentato l’Università di Pisa, laurea con lode in Lettere, indirizzo classico. Grazie al suo lavoro di tesi sul teatro plautino, Contributi ad una metaforologia plautina. (Pseudolus), le è stato riconosciuto un assegno ministeriale quadriennale presso il Dipartimento di Filologia Latina di Pisa. Ha insegnato materie letterarie, curando in particolare l’aspetto linguistico e letterario dell’italiano e del latino. Nel 1989 ha pubblicato una silloge poetica, Fiore di donna, Editrice Nuova Fortezza. Coautrice di due corsi di grammatica, lingua e cultura latina per il biennio dei Licei, Proxime, Trevisini Editore, 2010; Agenda Latina, Bompiani, 2013 e 2014. Tiene seminari di latino e lezioni di letteratura italiana presso l’UNITRE cittadina. Si dedica anche alla scrittura di testi poetici e racconti brevi, pubblicati talvolta in forma cartacea oppure on-line. Nel 2016 ha fatto parte della giuria del concorso nazionale di prosa e poesia Scarabeus.
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